Esteri (Giovedì, 8 maggio 2025) — Nella notte si è consumata una nuova escalation di tensione tra India e Pakistan. Un raid missilistico indiano ha colpito nove presunte “infrastrutture terroristiche” oltre confine, in territorio pakistano, scatenando la dura reazione di Islamabad. L’attacco, denominato “Operazione Sindoor”, è stato giustificato da New Delhi come risposta all’attentato del 22 aprile in Kashmir, costato la vita a numerosi turisti.
di Alessio Bianchi
Le aree colpite si concentrano nel Kashmir amministrato dal Pakistan, precisamente a Muzaffarabad e Kotli, e nella provincia pakistana del Punjab, a Bahawalpur. La scelta del nome in hindi per il vermiglio, il pigmento rosso usato dalle donne hindu sposate, rimanda al macabro modus operandi degli attentatori di Pahalgam, che identificarono le vittime non musulmane separando gli uomini dalle donne, lasciando queste ultime vedove.
Il Pakistan ha fermamente negato qualsiasi coinvolgimento nell’attentato di aprile, definendo l’azione militare indiana “ingiustificata”. Il Primo Ministro Shehbaz Sharif ha dichiarato che tale “atroce atto di aggressione non rimarrà impunito”, alimentando i timori di una possibile ritorsione.
L’attentato del 22 aprile, rivendicato dal gruppo terroristico “Fronte della Resistenza”, affiliato al pakistano Lashkar-e-Taiba, aveva già innescato una serie di misure punitive da parte dell’India. New Delhi aveva sospeso i visti, dichiarato persona non grata il ministro della Difesa pakistano, bloccato l’import di petrolio, le comunicazioni postali e l’accesso ai porti e allo spazio aereo per le navi pakistane. La mossa più significativa era stata la sospensione del Trattato delle Acque dell’Indo, in vigore dal 1960.
La storica contesa per la regione del Kashmir, fin dalla divisione post-coloniale, è stata costellata da conflitti e periodi di fragile tregua. Nonostante l’apparente volontà di non alimentare un’escalation su vasta scala, come suggerisce la natura mirata dell’ “Operazione Sindoor” contro presunti obiettivi terroristici, la situazione rimane volatile. La comunità internazionale, con gli Stati Uniti in prima linea, auspica una de-escalation attraverso i canali diplomatici, ma la ferita del Kashmir continua a sanguinare, con i civili a pagarne il prezzo più alto e il rischio di ripercussioni regionali sempre presente.